Continuando la storia delle nostre case di pellegrinaggio fondate da Santo Stefano, dopo la casa di pellegrinaggio romana, vale la pena menzionare la chiesa paolina ungherese, anch'essa situata a Roma.
Anche durante l'esistenza di questa antica casa di pellegrinaggio romana, nel 1450, il nostro ordine paolino di fondazione ungherese si stabilì a Roma. Era tipico dell'influenza dell'ordine in quel momento che furono in grado di ricevere una chiesa in questa zona centrale da papa Miklós V. All'epoca l'edificio era ancora in rovina, ma permise al popolo di Paolo di mettere piede nella "Città Eterna", peraltro nelle immediate vicinanze del Foro Romano e del Colosseo.
Questo era il Santo Stefano Rotondo, che era considerato una delle celebrità dell'antica Roma cristiana. La chiesa fu edificata sul colle del Celio – il secondo in Europa, dopo Bologna – come copia della Chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme.L'antico e fatiscente edificio - come lo permetteva la situazione finanziaria dell'ordine - fu restaurato dagli stessi Paolini, con l'aiuto di uno dei più importanti architetti e scultori dell'epoca, il fiorentino Bernardino Rossellini. L'edificio disponeva di un proprio approvvigionamento idrico e di un proprio pozzo, il cui blocco di marmo era decorato con lo stemma del re ungherese Sigismondo.
Il mantenimento della casa e della chiesa era assicurato dal popolo di Paolo senza l'aiuto del papa, perché avevano una proprietà più grande a nord della città e potevano coprire le loro spese con le entrate. In questa zona, "fino ad oggi, la rara icona della Vergine Maria, che, secondo la leggenda, fu portata fuori dall'Ungheria ai turchi", si legge in Júlia Sárközy: "Vándor... La nostra patria comune era Roma e rimarrà". nel suo articolo (numero 46 della rivista "Europai utas").
Questo dipinto bizantino fu portato dall'Ungheria dai monaci paolini sui muli, e quando fu appeso al ramo di un fico, avvenne subito un miracolo, immortalato negli affreschi della vicina chiesa di Santa Maria di Galeria.
A Santo Stefano Rotondo è sepolto, tra gli altri, il monaco paolino János Lászai (Johannes Lazo), che nel XVI secolo fu celebre confessore e noto oratore della Basilica di San Pietro, e nel 1523 cadde vittima della peste che devastò il città.
Dal 1580 nell'edificio operarono il Collegium Hungaricum e successivamente il Collegium Hungaricum-Germanicum.
Nel 1776 - dopo la demolizione della Casa del Pellegrino Ungherese - fu consacrato l'altare di Santo Stefano Rotondo in onore di Santo Stefano, Sant'Imre e San László. In seguito, in onore del re Szent István, fu addirittura costruita una cappella separata nella parte rotonda della chiesa. Da quel momento in poi l'edificio divenne la chiesa nazionale degli Ungari a Roma, e svolge ancora oggi la sua funzione.
Nel 1927 l'Accademia Ungherese delle Scienze e il Pontificio Istituto Ungherese lo acquistarono congiuntamente sulle rive del Tevere, II. Il Palazzo Falkonieri in Via Giulia, intitolato a Papa Gyula. Il palazzo, di straordinaria bellezza, fu acquistato nel XVI secolo da Orazio Falconieri, che affidò a Francesco Borromini la ricostruzione barocca dell'edificio. Successivamente, dal 1815, il palazzo divenne proprietà della madre di Napoleone, Maria Letizia Ramolino, e poi suo fratello (zio di Napoleone), il cardinale Joseph Fesch, lo rilevò da lei. Dal 1927 è sede dell'Accademia d'Ungheria a Roma, con la sua rinomata biblioteca di 20.000 volumi.
Purtroppo II. I cambiamenti politici in Ungheria dopo la seconda guerra mondiale hanno lasciato il segno nella storia dell'edificio. Il nuovo direttore del palazzo, che è di proprietà dello Stato Ungherese, fece togliere l'immagine della Madonna dalla facciata, e l'ingresso principale fu chiuso ai sacerdoti, che furono quindi costretti ad utilizzare il cancello di ferro che si apriva sul molo, ma questo è stato successivamente saldato.
Per controbilanciare tutto ciò, la generosa donazione di Erzsébet Fáy - che, in quanto erede del ricco signore inglese Oliver Duncan, offrì un'ingente fortuna per costruire una nuova casa di pellegrinaggio ungherese a Roma - riscrisse radicalmente la situazione. József Zágon e Mester István, i responsabili del Pontificio Istituto Ungherese, si occuparono personalmente della scelta della casa di pellegrinaggio, e presto fu trovato un terreno adatto per la nuova casa di pellegrinaggio in via Caselotto. A causa dell'elevato costo del terreno, nel 1965 fu avviata una colletta tra gli ungheresi del mondo, a seguito della quale la nuova casa di pellegrinaggio di Szent István poté aprire i battenti il 20 agosto 1967, giorno di Santo Stefano.
Tornando alla chiesa del Collegium Germanicum-Hungaricum di Roma, il Santo Stefano Rotondo, va ricordato che la professoressa Maria Nimmo annunciò nel convegno tenutosi presso l'Accademia d'Ungheria a Roma nel 1996 di essere riuscita, con le sue ultime ricerche, a individuando gli affreschi della parete dell'altare centrale eretta nel 1580, stabilendo così che raffigurano le figure di San László, Sant'Imre e Santa Margherita. Nel XVI secolo il primo rettore del Collegium Hungaricum progettò la recinzione dell'altare in modo tale che, oltre alla figura di Santo Stefano martire, fossero rappresentati in egual proporzione anche i santi della nazione ungherese.
In una sua serie di 24 dipinti del famoso pittore dell'epoca, Pomarancio (Niccolo Circignani1530−1597), ad esempio, possiamo trovare la figura della moglie del principe Géza, Sarolta, sul lato interno sinistro del recinto dell'altare, come le appare il martire Santo Stefano e il figlio profetizzato, Vajk, cioè Santo Stefano la nascita di un re.All'esterno del recinto dell'altare sono presenti rilievi scultorei alti mezzo metro, ora molto danneggiati, realizzati da Gioachino Jacopo de Neri. Una delle statue precedentemente ritenute Costantino il Grande è stata recentemente trovata per raffigurare il re ungherese San László. Qui si vede anche la figura di Sant'Imre, nella sua mano - seppur consumata - si vede ancora il giglio che ne indica la verginità. Infine, è stato anche rivelato che il rilievo visibile dall'altra parte del recinto dell'altare non raffigura in realtà Sant'Elena - come si pensava fino ad ora - ma la felice Margit di Árpád-háza con il gesto della mano tipico delle stimmate.
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(TTG)